Suta ai corpi bèn dai du magaju
i sgarba i marméli, a fatiga,
l’àspera crusta da terra, nemiga
s’a nu l’è inümerìa dau travaju.
Tra scaje e raiixe bèn i se destriga,
a fundu i s’aciava pe’ dröve a tajà;
ün dopu l’autru i gevi i pon issà
pe’ fà d’in zerbu in’andana ciü amiga.
Ancù ina vota u magaju u serà
a trià sti gevi cun corpi assestai
daa parte de l’öju, che pöi, smarinai,
terrò i daran pruntu da curtivà.
Pe’ séculi l’omu sti gesti u l’ha fai
pe’ so’ natüra, pe’ levasse a fame,
ma ancöi che ciü bon u pa’ l’andame
e corne au sù i fan cu-a rize i magaji.
Aldo Bottini – Dialetto di Sanremo
IL BIDENTE (¹)
Sotto i colpi ben assestati del bidente
i rebbi forano, a fatica,
l’arida crosta d’una terra nemica
se non viene addomesticata dal lavoro.
Tra piccole pietre e radici si districano (i rebbi),
a fondo si conficcano per aprire il solco(²);
una dopo l’altra le zolle vengono sollevate
per trasformare una landa incolta in un campo amico.
Toccherà ancora al bidente
sminuzzare le zolle con colpi assestati
dalla parte dell’occhio(³), che poi, sgretolati,
daranno terra pronta da coltivare.
Per secoli l’uomo questi gesti l’ha fatti
per sua natura, per sfamarsi,
ma oggi con il cosiddetto benessere
i bidenti giacciono abbandonati e rugginosi.
(¹) Definendo un attrezzo
tipico ed adatto alla nostra terra il vocabolo magaju non trova, a mio avviso,
una consona traduzione nella lingua. Trattasi di una sorta di zappa,
anticamente a due ed ora generalmente a tre denti o rebbi per dissodare la
terra.
(²) Il
taglio, o vuoto di terra, che rimane tra la porzione dissodata e quella ancora
da dissodare.
(³) La
parte posteriore del bidente consistente nell’alloggiamento circolare in cui si
inserisce il manico di legno.
1 commento:
Bellissima questa!
Posta un commento