domenica 1 marzo 2015

U MAGAJU di Aldo Bottini


Suta ai corpi bèn dai du magaju
i sgarba i marméli, a fatiga,
l’àspera crusta da terra, nemiga
s’a nu l’è inümerìa dau travaju.

Tra scaje e raiixe bèn i se destriga,
a fundu i s’aciava pe’ dröve a tajà;
ün dopu l’autru i gevi i pon issà
pe’ fà d’in zerbu in’andana ciü amiga.

Ancù ina vota u magaju u serà
a trià sti gevi cun corpi assestai
daa parte de l’öju, che pöi, smarinai,
terrò i daran pruntu da curtivà.

Pe’ séculi l’omu sti gesti u l’ha fai
pe’ so’ natüra, pe’ levasse a fame,
ma ancöi che ciü bon u pa’ l’andame
e corne au sù i fan cu-a rize i magaji.


Aldo Bottini – Dialetto di Sanremo

IL BIDENTE (¹)

Sotto i colpi ben assestati del bidente
i rebbi forano, a fatica,
l’arida crosta d’una terra nemica
se non viene addomesticata dal lavoro.

Tra piccole pietre e radici si districano (i rebbi),
a fondo si conficcano per aprire il solco(²);
una dopo l’altra le zolle vengono sollevate
per trasformare una landa incolta in un campo amico.

Toccherà ancora al bidente
sminuzzare le zolle con colpi assestati
dalla parte dell’occhio(³), che poi, sgretolati,
daranno terra pronta da coltivare.

Per secoli l’uomo questi gesti l’ha fatti
per sua natura, per sfamarsi,
ma oggi con il cosiddetto benessere
i bidenti giacciono abbandonati e rugginosi.



(¹) Definendo un attrezzo tipico ed adatto alla nostra terra il vocabolo magaju non trova, a mio avviso, una consona traduzione nella lingua. Trattasi di una sorta di zappa, anticamente a due ed ora generalmente a tre denti o rebbi per dissodare la terra.

(²) Il taglio, o vuoto di terra, che rimane tra la porzione dissodata e quella ancora da dissodare.

(³) La parte posteriore del bidente consistente nell’alloggiamento circolare in cui si inserisce il manico di legno.

1 commento:

MarLor_58 ha detto...

Bellissima questa!