martedì 12 novembre 2019

U CANTU DI TRAPPA(R)ELLI* di Tommaso Lupi


Dopu agni, de növu a sbatte e u(r)ive,
a l’ò sentiu cantō i trappa(r)elli cume ina vota:
ta ta, ta ra ta ta, ta ta ta ta ta, ta ra ta ta, tra ta,
tra tra tra ta ta ta … in cuncertu de trappa(r)elli.
Ami(r)au a me sun avijinau ai žuveni chi sbateva:
“che mujica ‘sti trappa(r)elli chi manesai!,
a l’è a mejima chi sunōva i nosci veggi tanti agni fà”,
“scì, pa(r)esca a chella chi sunōva ascì i nosci veggi”
… mi ai miu stüpiu  e elli riendu: “a semu Albanesi”.

                                                  Tumau di Luvi


 Tommaso Lupi – Dialetto di Dolcedo


IL CANTO DEI TRAPPARELLI

Dopo anni, di nuovo ad abbacchiare le olive,
ho sentito cantare i trapparelli come una volta:
ta ta, ta ra ta ta, ta ta ta ta ta, ta ra ta ta, tra ta,
tra tra tra ta ta ta … un concerto di trapparelli.
Ammirato mi sono avvicinato ai giovani che abbacchiavano:
“che musica ‘sti trapparelli che maneggiate!,
è la stessa che suonavano i nostri vecchi tanti anni fa”,
“si uguale a quella che suonavano anche i nostri vecchi”,
… io li guardo stupito e loro ridendo: “siamo Albanesi”.


* Trappa(r)élli = lunghe aste flessibili per abbacchiare le olive

Poesia/raccontino multietnico e multirazziale veramente accaduta nelle nostre campagne l’inverno del 2014. Da piccolo sentivo una vera e propria musica che si levava dalle nostre campagne, un ritmo sincopato prodotto dagli abbacchiatori di olive con un uso magistrale  e di grande forza dei “trapparelli”, quelle lunghe aste flessibili con cui i nostri avi (oggi usano apparecchi elettrici o a motore) percuotevano le fronde degli ulivi per far cadere i frutti a terra, dove le raccoglitrici manualmente ne riempivano i canestri, oppure facendoli cadere su dei larghi teli (“le tende”) su cui era più facile e produttivo raccoglierli e con più pulizia.
Era musica di percussionisti che andavano a orecchio e stupivano per la maestria e la forza con cui intrecciavano dialoghi, veri e propri botta e risposta, fra gruppi diversi di abbacchiatori sparpagliati sulle nostre colline.
Io li ascoltavo incantato e l’inverno scorso nelle campagne di Montegrazie mi è parso di udire la stessa musica ma con mia somma sorpresa ho scoperto che quegli abbacchiatori, assoldati da un frantoiano che aveva affittato mezza vallata di uliveti, erano Albanesi che avevano imparato l’arte dai loro avi i quali sull’altra sponda dell’Adriatico praticavano l’abbacchiatura delle olive contemporaneamente e al pari dei nostri.

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