Donna, serpente de l'inferno
crùa,
uscìa da ro profondo de
l'abisso
per métteme à sbaraggio e in
compromisso
l'annima in terra per ro Cé
nassùa.
Donna, à ro mondo, posso dì,
vegnùa,
come Domenedé forsi ha
permisso
per tormentame e fame in
breve schisso
ro retreto d'unn'annima
perdùa.
Zà che re mæ pecchæ me han
condannòu
à così agra e dura penitensa
de pregà sempre un marmaro
incarnaou,
sbatto in terra à ra fin dra
patiensa,
e de tanti sospiri c'ho
buttaou
ve demando ra morte in
recompensa.
Gian Giacomo Cavalli (1590 – 1658) – Dialetto di Genova
Commento
del prof. Fiorenzo Toso: Il sonetto va interpretato alla luce dell'ideologia
controriformistica del Cavalli. Egli era convinto che il suo amore peccaminoso
lo avrebbe condotto all'inferno (o meglio, si serve di questa immagine, lui che
probabilmente era ateo, per rappresentare il suo horror vacui) e quindi vede la
donna come strumento della sua perdizione. In realtà attribuisce alla donna un
potere fortissimo, che è quello di decidere del suo destino, del quale è in
balia. In rapporto poi alla sua visione politica repubblicana, spicca una
modernità che la maggior parte dei poeti in italiano dell'epoca nemmeno si
sognavano.
DONNA SERPENTE DELL'INFERNO
CRUDELE
Donna, serpente dell'inferno
crudele,
uscita dal profondo
dell'abisso,
per sbaragliarmi e
compromettere
in terra l'anima nata per il
cielo.
Donna, venuta al mondo,
posso dire,
con il permesso di
Dominedio,
per tormentarmi e mostrarmi
in breve
il ritratto d'un anima
perduta.
Già che i miei peccati mi
hanno condannato
a così aspra e dura
penitenza
di pregare sempre un marmo
fatto carne,
cado a terra alla fine delle
mie forze,
e dei tanti sospiri che ho gettato
vi domando la morte in
ricompensa.
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