Anche
quest’anno (era il 2016) un gruppo di amici provenienti dalla Valle Argentina, dalla Val
Nervia e dai dintorni, ha deciso d’incontrarsi in un giorno d’agosto nel summit
di Colla Melosa. Dopo i convenevoli e la rituale passeggiata nel bosco, ha
avuto luogo il consueto working lunch. Tra le portate di antipasto c’era anche
una porzione di quella che il dizionario italiano definisce: «Sottile focaccia
fatta di farina impastata con acqua e lievito, spianata a mano, variamente
condita e cotta in forno». Nel nostro caso il condimento era quello classico
della pizza ligure ovvero: salsa di pomodoro con o senza cipolla, olive
taggiasche, acciughe, aglio crudo in camicia, olio extravergine d’oliva, con
l’aggiunta o meno di capperi e di erbe aromatiche.
Immediatamente
il simposio si è ravvivato intorno al nome che tale celebre pietanza assume nei
vari dialetti di provenienza dei commensali. Ad esempio una gentil donna di
Pigna, assisa a capotavola, ha detto subito: vuiùn, e prontamente si è udito un
eco da Castelvittorio: fugazza!
A
Triora si chiama crescenza, ha continuato il dotto dell’antica podesteria,
argomentando come la denominazione sia appropriata, trattandosi pur sempre di
pasta che dev’essere lievitata, quindi “in crescita”. A tal erudita spiegazione
i convenuti da Isolabona hanno contrapposto, non senza un certo imbarazzo, la
loro versione: pisciarà. L’eco di tal suono, invero un po’ sgradevole, ha
provocato un sussulto d’orgoglio nel partecipante di Vallecrosia e nella
rappresentante di Vallebona, la quale è sortita dichiarando di sentirsi
confortata nel non esser sola con tale attestazione, condivisa anche con gli
abitanti di Soldano, nella variante pesciarà, e di Perinaldo, sebbene questi
ultimi pronuncino il termine con una erre palatale in un modo che solo loro sanno
fare. A Ventimiglia, invece, prende il nome di pisciadela, mentre a Bordighera
quello di pisciarada.
Quest’anno,
non avendo potuto essere presente la rappresentante di Dolceacqua, sono state
prontamente interpellate, a tale proposito, fonti certe che hanno dato una
circostanziata spiegazione. In questo caso la terminologia si diversifica da
tutte le altre, anticipando quella del dizionario italiano, infatti i
dolceacquini chiamano la pizza ligure: påsta cun a bågna, quella condita col
sugo di pomodoro e cipolla; con le
varianti di påsta cun a sevula per la focaccia con la cipolla e påsta cun e
erbe, quella con erbette, formaggio e cipolla.
Un’altra
particolarità è il termine di Apricale: machetusa. Ciò devesi al condimento,
poiché al posto dei filetti d’acciuga si usa o si usava il machetu, una sorta
di pasta preparata con giovani acciughe dette putine. Il machetto è considerato
un condimento utilizzato prima della coltivazione del pomodoro e si ritiene che
sia una variante del pissalat nizzardo: olio scaldato con aglio nel quale
vengono fatte sciogliere le acciughe per la preparazione della pissaladière
niçoise che, essendo più antica, non ha pomodoro ma cipolla.
Un
buon trait d’union tra la pissaladière nizzarda e la nostra
pisciadela-pisciarada-pisciarà, è rappresentato, sia dal punto di vista
etimologico sia da quello culinario, dalla pichade mentonasca, la quale ha gli
stessi ingredienti della pissaladière con in più il pomodoro. A tale proposito
è stato sorprendente apprendere dalla commensale di Creppo, come tale vocabolo
abbia risalito quasi tutta la Valle Argentina, insinuandosi nell’idioma locale
pressoché incontaminato: pisciada. Ricordo forse delle antiche “stagioni” dei
nonni a servizio nelle case e negli alberghi di Mentone.
A Taggia chiamasi figazza. A questo punto inevitabilmente, è entrato in discussione il termine sanremasco di
sardenaira con la variante sardenaia di Badalucco. Il perché di
questo termine è strano, dato che non si usano le sardine, bensì le acciughe.
Una spiegazione ce la può fornire "Ricette di osterie e genti di
Liguria" pubblicato dallo Slow Food, dove si riporta che il machetu è
fatto con le sardine! A Baiardo, infine, si chiama semplicemente pasta.
Gian
Paolo Lanteri
1 commento:
A Ceriana Pasta sciacà
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