Quando daggo dell' œggiu à
questo mondo
veggo da cavo à fondo
che tutto và per caze à
somboron
che pà ch'in sto teatro
se fasse ra comedia ogni
momento
dre humanne stravaganze e nò
muoè atro.
Giuian Rosso – Dialetto di Genova
Questo
è l'incipit di uno dei testi più "maledetti" di un autore già di per
sé discretamente maledetto: un testo tanto maledetto da essere escluso dalla
maggior parte delle decine e decine di manoscritti che contengono l'opera
rigorosamente inedita di Giuian Rosso. Si tratta di una satira violentissima
nei confronti di un magistrato della Repubblica adombrato sotto la maschera di
Frontin Lusco, proconsole romano in Liguria, forse lo stesso giudice che
condannò il Rosso alla prigione per debiti, esperienza dalla quale scaturì la
tagliente descrizione della Malapaga contenuta nelle Morali. In ogni caso
questa sestina è una bella sintesi della poetica concettista del Rosso, in
polemica aperta col culteranesimo cavalliano e sullo sfondo come sempre di una
baroccheria di evidente impronta ispanica. Per Cavalli, sulla scena del Gran
Teatro del Mondo si rappresentano "maravegie", per il Rosso,
nient'altro che "umane stravaganze". (Fiorenzo Toso)
QUANDO GETTO LO SGUARDO
Quando getto lo sguardo in
questo mondo
vedo dall'inizio alla fine
che tutto è pericolosamente
in bilico,
e sembra che in questo
teatro
si reciti in continuazione
la commedia
delle umane stravaganze, e
nessun'altra.
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